Il viaggio della conoscenza

Anno scolastico 2015/16  –  3B

Coordinatrice della ricerca –  Prof.ssa Simona Elena Ciaramella

Chi siamo

(di Manuel Chiarelli, Alice Sicurani)

Siamo i ragazzi e le ragazze della 3B della scuola media baccio da Montelupo. Abbiamo iniziato questo percorso di scoperta della storia circostante al nostro territorio, che ci ha portato anche alla storia più lontana da noi, grazie al progetto edumuseo finanziato dalla Regione Toscana. In classe ci siamo divisi i compiti, in modo che ognuno di noi abbia il proprio da farsi, ci siamo organizzati come se fossimo in una vera e propria redazione giornalistica. Alcuni di noi hanno ricercato le fonti scritte e iconografiche, altri si sono occupati di scrivere i testi e infine abbiamo costruito il sito. Curiosando nel nostro sito si posso scoprire storie interessanti come quella del roseto e della pietra davanti alla nostra scuola (di cui praticamente nessuno conosce la storia), del significato dell’ 8 Marzo per il nostro paese, interviste e molto altro ancora.​

Obiettivi iniziali

(di Alessio Cipriani, Andrea Rosato, Antonio Esposito)

Quest’anno la nostra classe ha conosciuto il significato del concetto di “cittadinanza partecipata”. 

Grazie a Edumuseo, noi ragazzi della 3B abbiamo voluto capire cosa fosse quel monumento che abbiamo visto tutti i giorni, da anni, prima di entrare a scuola e all’uscita.

Ci siamo chiesti cosa potesse rappresentare quella pietra, proprio quella che si trova all’ingresso della scuola. Ci siamo posti poi altre domande: come è arrivata fino a lì, come hanno fatto a trasportarla (perché è grande e sembra molto pesante), come mai l’hanno portata davanti a a una scuola e cosa rappresentasse quel volto inciso

Il nostro obbiettivo principale era darci una risposta a queste domande, e conoscere la storia legata a quel masso che, abbiamo scoperto, per la nostra storia locale è di grandissima importanza.

La deportazione

(di Alessia Di Martino, Alessia Costoli)

La deportazione di Montelupo Fiorentino,iniziò con lo sciopero nazionale dell’ 8 marzo nel 1944.

Questo sciopero ha avuto inizio da Torino e ha coinvolto più di 70.000 lavoratori. Nella notte dell’ 8 marzo la Guardia Nazionale Repubblicana cominciò a cercare antifascisti, comunisti, cattolici e borghesi che erano contro il sistema fascista.

 A Montelupo arrestarono diversi cittadini.

La mattina dopo furono portati alla stazione di Santa Maria Novella però solo ventuno persone partirono per andare a Mauthausen; le altre nove, per motivi vari riuscirono a scappare.

I cittadini di Montelupo, una volta arrivati ai campi, furono posizionati in una piccola piazza insieme ai cittadini di Empoli, Vinci, Limite e Fucecchio. 

Dopo ore che aspettavano al freddo gli vennero tagliati i capelli, subito dopo  più di 1600 deportati furono messi in una piccola stanza a fare il pane. 

Il 5 maggio del 1945 riuscirono a tornare solo 5 cittadini.  

Tra quelli che erano stati deportati c’erano stati operai, commercianti, dottori, artigiani, barbieri  e ragazzi. Nessuno di loro aveva partecipato attivamente allo sciopero.​​

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Come Ladri Nella Notte (Film)

monumento

Alla ricerca delle fonti

(di Luna Bartolozzi, Alice Fantini)

Di fronte all’ingresso della scuola Baccio da Montelupo è collocato il Monumento dedicato ai deportati di Montelupo Fiorentino. Questo monumento è una grande pietra grezza proveniente dalle cave del campo di prigionia di Ebenseedove morirono moltissimi deportati, fra i quali i cittadini di Montelupo Fiorentino, che sono ricordati nella lapide alla base del monumento. La lapide fu realizzata per l’occasione con l’indicazione di tutti i deportati, sia quelli che morirono nei campi di concentramento, sia quelli che tornarono vivi nelle loro case, che pero’ non dimenticheranno mai quella orribile esperienza. Ovviamente il trasporto della grande pietra da Ebensee fino alla scuola di Montelupo è stato possibile solo grazie alla Municipalità di Ebensee, al Museo della deportazione di Prato e all’Aned. L’idea di portare fino alla scuola anche un frammento di quel luogo e’ nata da Lu​​​ca Rovai, successivamente a un viaggio della memoria. Sul luogo da scegliere non ci sono stati dubbi proprio perche’ la scuola e’ il luogo più opportuno per trasmettere alle giovani generazioni la memoria degli eccidi e delle deportazioni avvenute durante la II seconda guerra mondiale. Ogni anno infatti, alcuni studenti, insieme a alcuni docenti, si recano in pellegrinaggio a Mauthausen, in occasione della Cerimonia Internazionale per la liberazione del campo di prigionia. L’8 Marzo del 2008 c’e stata l’inaugurazione del monumento, dove hanno partecipato gli studenti del Liceo Virgilio, che avevano inserito sulla pietra un’incisione commemorativa. lnoltre hanno partecipato le autorità comunali, il direttore del museo della deportazione di Prato, il Sindaco di Ebensee e infine i ragazzi e i professori della scuola media. Due anni dopo, il 12 aprile 2010 intorno al Monumento, alcuni studenti insieme al giardiniere del Comune hanno messo a dimora alcune rose in ricordo delle donne vittime dei campi di sterminio.

Fonti Orali

Dal racconto della Professoressa Alessandra Cenci ( di Max Putrino)

Il nostro primo incontro con i testimoni dell’evento è stato quello con un’insegnante della nostra scuola: la professoressa Cenci. Ci ha raccontato che tra il 2007 e il 2009 l’assessore Rovai di Montelupo, dopo aver accompagnato gli alunni in viaggio nel campo di concentramentodi Ebensee (Mauthausen, Austria), ha avuto l’idea di ricordare i caduti nei campi di concentramento nella seconda guerra mondiale.

Ha chiesto alle autorità di fargli arrivare una pietra dalla cava di Mauthausen. E per dare maggiore significato a questa pietra ha fatto un percorso con i ragazzi della scuola di Montelupo e del Virgilio a Empoli che hanno preparato dei bozzetti per ornare la pietra e poi organizzato una mostra con diversi oggetti legati all’argomento.  

Inoltre, dietro alla pietra, è stato piantato un roseto che vuole ricordare la deportazione delle donne al campo di concentramento femminile di Ravensbruck.

Da questo momento in poi, la nostra ricerca delle fonti orali si è spostata verso la ricerca di un contatto con l’ex assessore Luca Rovai.

Dal racconto dell’ex assessore Luca Rovai ( di Valentina Romani, Giulia Cecconi)

A contattare l’ex assessore Rovai ha pensato la nostra insegnante. Quando si è presentato abbiamo iniziato ad intervistarlo usufruendo delle domande precedentemente preparate. Attraverso la prima domanda abbiamo scoperto che il monumento presente davanti alla scuola proviene da Ebensee, Austria. Dopo la caduta del Regime fascista, tutte le scuole costruite in quel periodo, furono fornite di un monumento ricordante i caduti di guerra e i deportati. Siccome a Montelupo era stata costruita una nuova scuola, è venuta l’idea di metterle una nuova lapide davanti. 

Durante quel periodo, il direttore del museo della deportazione di Ebensee era a Prato per poter visitare il museo lì presente. Rovai si mise in contatto con lui e riuscì ad avere un appuntamento per poterci parlare. Il direttore accettò la proposta di Rovai di portare una pietra della cava di Ebensee a Montelupo per utilizzarla come monumento ai caduti. 

Inizialmente era stato chiesto aiuto ad un corriere particolare dato che la pietra pesa una tonnellata, ma i fondi per poterlo pagare non erano sufficienti. Di conseguenza fu contattato un camionista che prese la pietra dalla cava e la portò a Montelupo. All’inaugurazione della pietra c’era il sindaco di Montelupo, Virgilio Rovai, Gianfranco Maris e la Preside della nostra scuola. 

Rovai aveva scelto appositamente la pietra. Lui pensava che utilizzando la pietra come monumento storico avrebbe simboleggiato la fatica e il dolore provati dai deportati nei campi di concentramento. Dopo qualche anno che il monumento si trovava davanti alla scuola, si rese conto che serviva qualcosa che non la facesse sembrare una pietra comune. Si mise quindi in contatto con il Liceo Artistico Virgilio di Empoli e più precisamente con il professore Rocco Spina, insegnante di scultura. I suoi studenti realizzarono dei bozzetti, dei quali ne fu scelto uno raffigurante un volto.

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(La dirigente Gloria Bernardi e l’ex assessore Luca Rovai)

Dal racconto della fotografa Gianna Gianni (di Valentina Romano)

Il 7 giugno 2016 abbiamo intervistato la signora Gianna Gianni, la fotografa che tutti gli anni ci scatta la foto di classe, quella che firmiamo e che teniamo con cura come ricordo.

La signora Gianna ci ha raccontato la sua storia, o meglio, quella di suo nonno Sanzio.

Sanzio aveva un negozio di barbiere, “la barberia”, a Montelupo e questo non era un negozio qualsiasi. Si trovava, e si trova ancora oggi, in via Roma: era un ritrovo di antifascisti.

Dal signor Sanzio andavano a tagliarsi i capelli e a farsi radere la barba anche i capi fascisti, ma non si erano mai accorti di niente. Quando non c’era nessuno, in quel negozio di parlava di politica, si organizzava la resistenza locale e i ragazzi che stavano a bottega, quelli che avevano finito la quarta elementare, venivano messi fuori dalla porta a fare la guardia: avevano il compito di battere un colpo con i piedi sulla porta e avvisare tutti nel caso ci fossero stati dei fascisti in giro o delle persone di cui ancora non ci si poteva fidare. 

Nel 1944, nella barberia di Sanzio si ascoltava Radio Londra e si organizzavano i volantinaggi. Il materiale veniva stampato a Empoli e poi, con la bicicletta, si andava in giro a distribuire volantini in segreto, rischiando la vita.

Prima di essere deportato nel campo di Mauthausen e poi in quello di Hartheim, dove perse la vita, il signor Sanzio era già stato venti mesi in carcere nel 1921: era stato accusato di avere fatto saltare in aria un convoglio fascista sui binari, presso la stazione di Montelupo. Nonostante il carcere, l’antifascismo di Sanzio non venne meno.

La signora Gianna ci ha raccontato che suo nonno era molto miope e che sul treno verso i campi di concentramento gli si ruppero gli occhiali.  Una volta arrivati a Mauthausen, iniziarono le prime selezioni: sceglievano persone giovani, forti e sane, perché ritenevano che tenere persone malate, fosse solo uno spreco di cibo, nonostante il cibo per i deportati era quel che era. 

Appena scoprirono che era miope, dice Gianna, venne subito mandato a castello di Hartheim e, secondo i racconti delle poche persone tornate dai campi, il signor Sanzio fu usato come cavia per i noti esperimenti dei nazisti. 

Articolo di Marcello Scarselli, autore del libro La bottega di Sanzio 

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Il Roseto

​​​​Il roseto è stato piantato da alcuni alunni, con l’aiuto del giardiniere, in memoria delle donne cadute e sopravvissute nei campi di sterminio.  

La scelta della rosa è stata presa dalla Dirigente scolastica (Gloria Bernardi ndr), dato che è esperta su questo argomento ed è una grande appassionata di rose.

Decise di piantare la rosa sanguinea

La caratteristica fondamentale di questo fiore è la sua resistenza: simboleggia così la grande resistenza delle donne che vissero l’esperienza atroce dei campi di concentramento. 

Le ricorda tutte: quelle tornate e quelle che purtroppo persero la vita.

Il roseto è stato piantato davanti alla scuola in un momento successivo al collocamento della pietra,  per riuscire ad attirare l’attenzione degli studenti facendo sì che si incuriosissero e si informassero su questo argomento, ​riuscendo così a non perderne il significato.

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I ragazzi che piantano il roseto.

 

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Ravensbruck

(di  Lucrezia Nardini, Sara Minotti, Simona Brandi, Daniele Angileri, Lorenzo De Pascalis. Francesco Sordi)
Il campo di concentramento Ravensbruck fu aperto il 15 maggio del 1939, fu il primo lager nazista femminile. 

Il campo era situato sulle rive del lago Fürstenberg, distante 90 km da Berlino circa. Il campo fu chiusosolamente sei anni dopo la sua apertura, cioè nel 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale. 

La prima deportazione fu di circa 900 donne, donne che oltre a esser state deportate in quel campo di prigionia, furono costrette a costruirlo. 

Dopo l’inizio della guerra, il numero deportate salì a 4000 al mese. Il 6 giugno 1941 a Ravensbruck arrivarono circa 300 deportati maschi da Dachau così venne fondatoun campo di concentramento maschile (Männerlager) staccato da quello femminile. ​ 

Le persone deportate alla fine della guerra furono circa 45.000. 

I primi bambini raggiunsero il campo nel 1939, insieme alle madri zingare provenienti dal campo di Burgenland, in Austria. In seguito molte madri ebree olandesi, francesi, ungheresi giunsero insieme ai figli. 

Dal 1942 le donne che erano in stato interessante, al momento dell’internamento erano obbligate all’aborto appena la gravidanza veniva scoperta, oppure venivano selezionate per l’immediata uccisione, tutto ciò veniva fatto per non disturbare la produzione. 

L’aborto era praticato fino all’ottavo mese e il feto veniva bruciato in una stufa. Dal 1943, le autorità SS (forze speciali di Hitler) del campo permisero alle donne incinte di portare a termine la gravidanza, ma i neonati venivano subito strangolati o annegati in un secchio d’acqua davanti alla madre. ​

Le donne in quel campo, furono sottoposte a

crudeli esperimenti: 

– congelamento 

– sterilizzazione 

– vaccinazioni 

– trapianti di ossa da una prigioniera all’altra 

Molte di queste rimasero uccise mentre le sopravvissute sfigurate a vita. 

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Dai racconti di Ravensbruckravensbruck

(di Lucrezia Nardini, Sara Minotti, Simona Brandi)

Quando una nuova prigioniera arrivava a Ravensbruck era obbligata ad indossare il Winkel, un triangolo di stoffa colorato, che identificava il motivo dell’internamento; sul triangolo era applicata una lettera che identificava la nazionalità. 

Le donne ebree, prima del trasferimento verso Auschwitz,indossavano un triangolo giallo, alcune volte sovrapposto con un secondo triangolo per indicare altri motivi di internamento. Le criminali comuni indossavano il triangolo verde, i Testimoni di Geova il triangolo viola. Le zingare, le prostitute e le «asociali» venivano identificate da un triangolo nero. 

Il triangolo rosa era utilizzato per identificare gli omosessuali maschi presso gli altri campi di concentramento, non venne però utilizzato nel campo femminile di Ravensbruck; le lesbiche internate, spesso per associati motivi razziali o politici, vennero contrassegnate con il triangolo nero e considerate semplici «asociali». 

Alle deportate venivano rasati i capelli, che poi venivano utilizzati dall’industria tedesca. Successivamente, dopo essere state rasate, private di tutti i propri beni ispezionate nelle parti intime e lavate, le prigioniere erano destinate ai Block ovvero costruzioni di legno incatramato, divisi in due Stube, in ognuna delle quali si trovava un refettorio, un dormitorio, tre lavabi e tre latrine.La blockowa e la stubowa erano le responsabili rispettivamente del Block e della Stube. ​

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 L’incontro in auditorium

(di Chiara Casale, Valentina Romano, Michela Tetti)

Per la festa dell’8 Marzo, come ogni anno, tutte le classi terze dell’istituto comprensivo Baccio da Montelupo della scuola secondaria, sono scese nell’auditorium per assistere alle ultime testimonianze dei figli dei deportati di Montelupo nei campi di concentramento. Questo in ricordo del giorno in cui queste ventuno persone sono state deportate in Austria, dopo gli scioperi del marzo del 1944.

L’incontro in auditorium è stato svolto con le testimonianze del figlio di un deportato di Montelupo,  Aldo Rovai. Aldo ci ha spiegato com’era la vita nei campi di concentramento e ci ha poi narrato le esperienze che il padre ha vissuto con i suoi ‘compagni’. 

Aldo ha raccontato alcuni dei molteplici colpi di fortuna del padre in quei campi: per esempio la morte scansata per merito di un signore che neanche conosceva. Una mattina, un uomo di origine polacche, disse all’uomo che quando il soldato avrebbe fatto il suo discorso, alla fine avrebbe dovuto alzare la mano, e neanche il tempo di chiedere il perché che il polacco se ne era già andato. Arrivò il momento del discorso del soldato, e molti alzarono la mano ma tra quelli il padre del deportato non c’era. 

Il polacco quindi comparve nuovamente in suo aiuto, l’uomo sapeva parlare il tedesco e di conseguenza poteva comunicare con i soldati. Disse loro che anche il padre del deportato aveva alzato la mano, e allora segnarono anche il suo nome nella lista; quando uscirono si accorsero che grazie all’alzata di mano si erano salvati. 

Il padre del deportato gli chiese come mai lo aveva salvato se neanche si conoscevano, il polacco gli disse che tra tutti lui poteva salvare solo una persona, e decise di salvare proprio lui perché era l’unica persona che nonostante tutto non aveva ancora perso le speranze e che aveva ancora voglia di vivere. 

Virgilio ha poi raccontato della storia delle bucce di patate. Visto che i soldati tedeschi non davano da mangiare ai detenuti, suo padre si ritrovò a mangiare di nascosto bucce di patate. Situata di fianco alla sua cella, c’era la cucina dove tutto ciò che i cuochi buttavano erano le bucce di patate, l’uomo affamato decise quindi un giorno di provare a prenderle di nascosto. 

Se i tedeschi l’avessero scoperto sarebbe potuto morire, ha quindi rischiato la sua vita per potermangiare delle misere bucce di patate​. 

Virgilio, durante l’incontro in auditorium, si è emozionato mentre parlava del padre e più volte ha dovuto fare una pausa per riprendersi; molti di noi alunni sono rimasti ad ascoltare a bocca aperta il suo triste racconto, concedendosi anche qualche lacrima. 

Una cosa per noi tutti però è certa: è stato coraggioso, non tutti riescono a raccontare la vita di un proprio parente durante il soggiorno ai campi di concentramento; ha raccontato le vicende per filo e per segno come se fossero successe a lui pochi anni prima. Alla fine dell’incontro siamo usciti tutti quanti fuori e ci siamo messi intorno al monumento posto davanti alla scuola su cui è stata poggiata una ghirlanda.