La peste a Montelupo nel ‘600

Anno scolastico 2015/16   – 2C

Coordinatrice della ricerca – Prof.ssa Alessandra Cenci

Introduzione del docente

Il lavoro presentato sulla “Peste a Montelupo nel ‘600” è stato svolto nel corso del secondo quadrimestre dalla classe 2C (a.s. 2015/16), durante le ore curricolari di storia, per almeno due ore settimanali e nell’arco di due mesi. I ragazzi hanno svolto gli approfondimenti in piccoli gruppi creati dalla docente e con il supporto della tecnologia; ciascuno gruppo aveva uno specifico tema da affrontare che contribuiva alla ricerca storica generale. I risultati della ricerca sarebbero serviti per la pubblicazione in un sito in collaborazione con il Museo archeologico di Montelupo, per creare didascalie digitali (con QRcode) a luoghi ed emergenze del territorio. Il supporto degli operatori del Museo è stato peraltro fondamentale alla riuscita del progetto.

Il percorso è iniziato in classe dall’ambito letterario con la lettura ed il commento delle parti relative alle peste nelle opere Decamerone di Boccaccio e Promessi Sposi di Manzoni, lette ad alta voce o ascoltate in audiolibro. A questi si è aggiunta la lettura del libro di C.M. Cipolla Chi ruppe i rastelli a Monte Lupo?, ed il confronto con le due descrizioni letterarie.

Il lavoro è poi proseguito con la ricerca storica vera e propria nei 5 gruppi seguenti:

Gruppo 1: Personaggi attorno alla peste (cerusico, magistrato sanità, untore, monatto, speziale, medico, apparitore); la medicina nel 600.

Gruppo 2: Luoghi della peste

(Lazzeretto, cimitero appestati…); luoghi della peste a Montelupo: Cosa rimane sul territorio e nella toponomastica di tali luoghi?

Gruppo 3: Montelupo nel 1600: la fisionomia del paese, gli abitanti, le attività, i governanti. La mappa del borgo.

Gruppo 4: L’episodio del luglio 1631: il crocifisso miracoloso, la processione, i rastelli. Il testo teatrale di Cavosi.

Gruppo 5: Le parole della peste: costruiamo un glossario per aiutare la comprensione

(Rastelli, quarantena, bulletta di sanità, cerusico, lazzaretto, monatto, speziale, apparitore …)

Il docente ha aiutato i gruppi nella ricerca delle fonti, nella loro collazione e nella stesura dei testi di sintesi. Inoltre, ha seguito il lavoro relazionale ed organizzativo dei ragazzi, osservando le dinamiche di gruppo e valutando l’acquisizione di competenze sia interdisciplinari che comportamentali. Ha anche fornito suggerimenti per gli strumenti tecnologici utili a realizzare le varie sintesi di gruppo che sono state stese sia in forma digitale scritta che in forma multimediale, con la realizzazione ed il montaggio di piccoli video.

Il lavoro ha consentito ai ragazzi di entrare in contatto con varia tipologia di fonti storiche e di imparare a trarne informazioni utili al loro scopo, valutandone attendibilità e importanza (information literacy):

– fonti scritte storiografiche,

-regesti d’archivio pubblicati,

-cartografie e mappe storiche o catastali,

-mappe attuali per la localizzazione anche digitale,

– siti web,

-testimonianze orali di esperti,

– fonti materiali…

Il fatto poi che i ragazzi sapessero fin dal principio dell’attività che il loro lavoro sarebbe stato visibile per la cittadinanza nel progetto di digitalizzazione dei luoghi e delle emergenze del territorio, ha contribuito a motivarli più responsabilmente e a far crescere impegno e serietà. Il percorso quindi ha rivestito i caratteri del “compito autentico,” secondo le indicazioni più attuali della didattica per competenze.

Il lavoro ha consentito, peraltro, di attivare un’idea centrale per il curricolo di storia del nostro istituto, ossia passare dallo studio del libro di testo alla storia dei segni del territorio, rendendo in tal modo attivo e coinvolgente il fare storia e rendendo i ragazzi protagonisti del loro apprendimento. In questa operazione didattica il Museo è diventato un laboratorio dove la scuola trova spunti e stimoli, competenze e fonti per svolgere la propria ricerca storica, in un reciproca azione di contaminazione che fa bene alla scuola e al Museo per essere entrambi vitali e produttivi.

Prof.ssa Alessandra Cenci

Gruppo 1

Personaggi legati alla Peste del ‘300 e ‘600

SPEZIALE:

Lo speziale nel medioevo era colui che si occupava della preparazione delle medicine; di solito aveva una bottega, specificata come spezieria, all’interno effettuava anche attività di vendita delle spezie e delle erbe medicinali.

Nella bottega dello speziale si trovavano inoltre i profumi ed essenze, i colori usati in pittura e dai tintori, la cera e le candele, la carta e l’inchiostro e spesso anche dolci speziati preparati dallo speziale stesso. L’attività dello speziale era, in epoca medievale, una delle più importanti. Lo stesso Dante Alighieri alla fine del Duecento, volendo partecipare alla vita della Repubblica fiorentina come delegato, scelse di iscriversi alla corporazione degli speziali, anche se mai esercitò quello professione.

  speziale

CERUSICO:

Cerusico è un termine con cui per molti secoli si indicò il chirurgo. La figura del cerusico compare nel corso dell’alto medioevo, epoca in cui l’attività chirurgica viene relegata nelle mani di figure minori: barbieri, norcini, ambulanti.
Questo atteggiamento può essere spiegato con la natura stessa dell’atto operatorio che, praticato a quei tempi senza alcuna anestesia e in condizioni igieniche precarie, risultava particolarmente cruento e rischioso tanto da essere ritenuto un atto indegno di un medico. La mancanza di cultura generale e medica non impedì a questi cerusici di raggiungere traguardi importanti. Spesso furono degli ottimi e provetti operatori in quanto quella chirurgia non richiedeva altro che velocità di esecuzione e manualità. Anche a Montelupo durante la pestilenza del 1600 fu inviato dalla Sanità del granducato di Firenze un cerusico, tal Michelagnolo Coveri, che rimase accanto al responsabile sanitario del paese per i due mesi della pestilenza ed operò soprattutto al Lazzaretto di Sanminiatello.

cerusico

MONATTI:

Erano gli addetti al trasporto degli appestati e dei morti di peste, al loro seppellimento e alla distruzione di ogni oggetto che poteva essere latore di contagio. Un monatto era un addetto pubblico che nei periodi di epidemia pestilenziale era incaricato dai comuni di trasportare nei lazzaretti i malati o i cadaveri. Di solito, i monatti erano persone condannate a morte, carcerati, o persone guarite dal morbo e così immuni da esso.

monatti

UNTORI:

L’untore era un individuo sospetto accusato di spargere le epidemie. La credenza era allora molto diffusa, tanto che veniva attribuita agli untori la responsabilità delle pestilenze, ciò provocò nei loro riguardi una persecuzione per certi versi, simile alla caccia alle streghe del Rinascimento.

Di untori si parla nel romanzo “I Promessi Sposi”, dove Renzo Tramaglino viene accusato di essere uno di loro, come anche nella Storia della colonna infame, sempre ad opera di Manzoni, dove viene descritto il processo contro Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza. Nella lingua quotidiana è rimasta l’espressione “Dagli all’untore!” per indicare la persecuzione della folla nei confronti di individuo accusato spesso ingiustamente.

untori

Gruppo 2

L’Osteria di Fuori (e le osterie in generale)

logo-osteria-di-fuori    Logo dell’osteria di fuori

L’Osteria di Fuori di Montelupo

La storia che Cipolla ci racconta nel suo “Chi ruppe i rastelli a Monte Lupo?” riferisce che la peste del 1631 a Montelupo partì dall’Osteria fuori porta: vennero infatti colpiti i parenti dell’oste (famiglia Mostardini). L’Osteria di Fuori si trovava sull’attuale Via Caverni che allora faceva parte del vecchio tracciato della strada Regia Pisana, fuori dalle mura di Montelupo.

Il paese di Montelupo è sempre stato importante soprattutto per la sua posizione strategica lungo strade significative: in epoca romana il sito esisteva solo come Mansio ad Arnum, ovvero stazione di posta lungo la strada che da Pisa andava alla città di Florentia; poi nel Basso Medioevo lungo la strada sotto la collina ed il guardingo longobardo nasce il paese di Montelupo, voluto dalla Repubblica di Firenze. Il borgo almeno fino al XVII secolo non si espande oltre la Pesa, ma resta importante snodo viario.

Nella prima metà del ‘600 c’era l’Osteria di Fuori che fungeva da albergo per i viaggiatori che passavano da Montelupo.

FONTE: OTTOCENTO ANNI DI STORIA (PAG.15-77-78-79)9

osteria-di-fuori Osteria di fuori

Dove si trovavano le osterie?

Le osterie sorsero, come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio o in quelli di commercio che in particolare sono strade, incroci, piazze e mercati. Ben presto divennero anche luoghi d’incontro e di ritrovo, di relazioni sociali. Gli edifici, spesso poveri e dimessi, assumevano importanza in base al luogo dove sorgevano e alla vita che vi si alimentava. Il vino era l’elemento immancabile intorno al quale tutti gli altri facoltativi giravano: il cibo, le camere da letto, la prostituzione.

FONTE: WIKIPEDIA

Significato e origini

Un’osteria è un esercizio pubblico nel quale si serve prevalentemente vino e, in alcuni casi, cibo e spuntini.

Il termine osteria viene da “oste”, dall’antico francese (“oste”, “ostesse”) che a sua volta deriva dal latino “hospite”. L’etimologia dell’attuale denominazione richiama la funzione del luogo che è appunto quella dell’ospitalità.

Locali simili alle osterie esistevano già nell’antica Roma (gli “enopolium”), mentre nei cosiddetti “thermopolium” si servivano anche cibi e bevande calde, mantenuti ad alta temperatura in grandi vasi di terracotta incassati nel bancone: esempi ben conservati sono visibili presso gli scavi dell’antica Pompei.

FONTE: WIKIPEDIA

bancone-con-vasi      Bancone con vasi in un’osteria di  Pompei

Le osterie al giorno d’oggi

L’osteria era, fino alla metà del 1900, un tipico luogo di ritrovo serale popolare degli uomini; luogo di incontro e di socializzazione ha costituito per lungo tempo uno dei pochi luoghi di incontro e di scambio d’idee, in aggiunta alla Chiesa e alla piazza. Dal dopoguerra ad oggi la frequentazione di questi locali è diminuita sempre più, anche se negli ultimi anni si è visto un rifiorire di questi locali, che stanno recuperando la loro funzione di luogo di incontro per entrambi i sessi.

…uscendo dalle mura di Montelupo,
in direzione di Pisa, passato il ponte sul Pesa,
poco dopo si trova una “posta”,
cioè un edificio sorto a conferma dell’importanza
che questa strada aveva assunto in quel periodo
rispetto a tutte le altre.
Nelle piante dei Capitani di Parte si riporta la dicitura:
“Osteria e bevatoio e casamenti
di Antonio di Biagio”,
punto di ristoro e cambio di cavalli.

Ancora oggi ci si riferisce allo stesso luogo
chiamandolo…
Osteria di Fuori

FONTE: SITO DELL’OSTERIA DI FUORI

San Lorenzo a Cacciacani

mappa-capitani-scacciacane

A.S.F. Popoli della Podesteria di Montelupo e Samminiatello XVI sec.
La chiesa di “Santo Lorenzo a caciacani” posta all’esterno delle mura di Montelupo
e prima del centro abitato di Samminiatello

Studiando l’episodio della peste del 1600 a Montelupo si incontra il toponimo San Lorenzo in Cacciacane, dove sembra si trovasse il cimitero degli appestati. In questo luogo si trovava già da tempo una chiesetta isolata dedicata a San Lorenzo, posta a metà strada gli abitati di Samminiatello e Montelupo, come si vede nell’immagine riportata. Questa chiesetta fu unificata nel 1445 alla chiesa di Sanminiatello che risale molto più addietro al XII secolo.

Notizie storiche indicano la comunità di Sanminiatello già esistente nel 1025, alle dipendenze di Capraia, passando a quelle di Montelupo nel 1299. Il nucleo abitato di Sanminiatello si è sviluppato intorno ad un oratorio dedicato al protomartire S. Miniato, che notizie risalenti al 1079 danno in donazione, da parte del vescovo fiorentino Ildebrando, al convento di S. Miniato al Monte di Firenze.

Oggi della chiesetta di San Lorenzo in Cacciacane non risultano tracce, rimane però una strada che ricorda questo nome, via Cacciacane, breve percorso che partendo da via Gramsci, conduce in alcuni edifici ex colonici, posti tra la linea ferroviaria e la sponda sinistra del fiume Arno.

L’ipotesi sulla posizione della chiesetta è individuabile, in linea di massima, da cartografie storiche risalenti alla seconda metà del XVI secolo. L’edificio denominato su tali mappe “Santo Lorenzo a Cacciacani” è posizionato sul tratto di strada che collegava la porta di San Piero di Montelupo e le prime case del borgo di Samminiatello.

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Via Cacciacane

Nel 1835 sulle piante del “catasto Leopoldino” esisteva in tale area solamente un edificio con l’uso di “tinaia” di proprietà Antinori (gli stessi della villa a Camaioni) e conosciuta fino alla sua demolizione avvenuta nel 1968, come “Tinaia di Cacciacani”.

Della chiesa, in questo periodo non ci sono già più indicazioni o riferimenti.

Nella fase di costruzione dell’edificio in angolo tra via Pavese e via Dante, all’incirca nel 1964, durante gli scavi di fondazione, furono rinvenuti alcuni frammenti di resti umani e spezzoni in ferro, forse rimanenze di croci. Non fu data importanza alla cosa ed i lavori continuarono.

 FONTE: MONTELUPO WALK

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A.S.F. Catasto Generale Toscano 1835
L’edificio isolato destinato a tinaia e conosciuto come “tinaia di Cacciacani”

Dal libro dello storio C. M. Cipolla, “Chi ruppe i rastelli a Monte Lupo?”, sappiamo che in Cacciacani fu costruito un cimitero utilizzato dal paese e dai dintorni nelle due epidemie di peste che colpirono Montelupo fra 1630 e 1631. Il cimitero ed lazzeretto, situato in località Casa Alta, era gestito dai frati del convento di San Niccolò dove risiedeva il padre Dragoni, responsabile della Sanità nel paese assieme al cerusico fiorentino Coveri. FONTE: C.M. CIPOLLA, Chi ruppe i rastelli a Monte Lupo?”

FONTE: FOTO DEL LIBRO CIPOLLA

Il lazzaretto di Montelupo Fiorentino (e i lazzaretti in generale)

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Un lazzaretto medievale

In tanti hanno conosciuto la realtà dei lazzaretti grazie ai Promessi Sposi di Manzoni: più che ospedali, erano delle quarantene in cui i malati variamente infetti e incurabili venivano isolati per preservare il resto della comunità dal contagio.

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Il lazzaretto di Milano

Fortunatamente di lazzaretti non se ne sente più parlare e la sola idea che ancora ne esistano ci raccapriccia; però si tratta di una figura che ha scavato a fondo nell’immaginario collettivo, e che è rimasta bene impressa nella lingua. Oggi questa parola può essere facilmente usata in senso figurato e ironico per indicare un luogo popolato da disperati malridotti: andando dal medico per farsi fare una ricetta ci si ritroverà nelle budella di un lazzaretto pieno di malati malconci; entrando nell’autobus si verrà investiti da turbini di starnuti e colpi di tosse, come se fosse un lazzaretto semovente; e a febbraio, al principio di un nuovo progetto, ci si potrà accorgere che la propria squadra, più che entusiasta e agguerrita, è ridotta a un lazzaretto. Nel lazzaretto, che nelle città più grandi potevano essere anche più di uno, venivano tenuti in quarantena i malati. Durante epidemie con un alto tasso di mortalità, nei periodi di parossismo del contagio, essi si riempivano di ammalati che, con alta probabilità, morivano nel giro di pochi giorni. Le condizioni igieniche precarie dei lazzeretti a volte invece che arginare un contagio, lo favorivano, con il sovraffollamento, la convivenza con il personale medico, che facilmente si ammalava a sua volta, e la mancanza di alcune condizioni igieniche che si sarebbero dovute bruciare tutte le sue cose, come gli abiti e il giaciglio: ma in condizioni di estrema urgenza, come durante un’epidemia, era impossibile procurarsi anche solo la paglia fresca giornaliera dove far stendere i malati.

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La peste nella Milano dei Promessi Sposi

Il lazzaretto di Montelupo Fiorentino

Stando alle notazioni del parroco Bontadi, il lazzaretto fu aperto l’11 ottobre e dalle carte dell’archivio della Sanità sappiamo che otto giorni dopo, e cioè il 19, arrivò da Firenze un cerusico, Fortunato di Orazio Folli, mandato dal Magistrato della Sanità per prendere servizio nell’ospedale. Si cominciò con otto malati, ma il loro numero aumentò presto ed il 22 otttobre, fra maschi e femmine, c’erano nel lazzaretto ventotto malati.

[…] e ovviamente bisognava provvedere di cibo sia i malati ricoverati al lazzaretto che i sani quarantenati nelle loro case. Ma i soldi mancavano. Verso la metà di novembre la distribuzione del pane ai malati nel lazzaretto e ai quarantenati nelle case veniva a costare più di cinque scudi il giorno e il 16 dicembre i deputati alla Sanità di Monte Lupo avevano un debito di 44 scudi “per conto di detto pane”. […] Il 19 dicembre arrivò da Firenze un sussidio di 22 scudi, ma era una bazzecola di fronte ai debiti da pagare e le continue spese da effettuare.

FONTE: C.M. Cipolla, CHI RUPPE I RASTELLI A MONTE LUPO.

Gruppo 3

La Monte Lupo del Seicento: situazione urbanistica

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Montelupo nel XVII secolo era ancora circondata dalle mura castellane costruite nel XIV secolo (circa 1336). I suoi confini sono delimitati da tre corsi d’acqua che qui mescolano le loro acque: Arno, Pesa e Schifanoia.

Gli ingressi nel borgo avvenivano attraverso cinque porte, due principali poste lungo la via Regia pisana e tre laterali, lungo le altre strade importanti che si intrecciavano attorno al paese.

La porta sud era quella dell’Ulivo che si trovava dove adesso c’è la sbarra che divide via Marconi da via XX settembre. Probabilmente è stata chiamata così perché appena fuori dal borgo c’erano i campi d’ulivi. La porta si apriva in direzione di San Casciano. Questa era una antica via di transito medievale che legava la valle dell’Arno e quella della Pesa, ivi confluenti. Lungo questa strada si trovava la pieve più antica del territorio, Ss. Ippolito e Cassiano, oggi non più nel comune di Montelupo ed adibita ad hotel. Il tratto iniziale della strada presentava un percorso più a monte rispetto all’attuale e passante per quello che oggi si chiama Largo delle Grotte. Questo percorso serviva ad evitare il piano quando la Pesa straripava. Ancora nel 1800 era detta via delle Grotte e considerata” assai pericolosa a causa delle continue frane che cadono dal monte”.

Porta del Fico o Fiho, invece, era in cima all’antica strada per Malmantile o Via Vecchia Pisana, il percorso medievale per Firenze. Su questa collinetta si trovava, nel XIII secolo, il nucleo più antico di Montelupo, che poi nel secolo successivo si è allargato verso valle, con la nuova cinta muraria trecentesca, ancora visibile presso la stazione ferroviaria ed in via Giro delle mura. Passate la pieve di San Lorenzo e la porta del Fico, alcune fonti riferiscono, che lungo la strada si trovasse un ospedaletto per viandanti.

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Ricostruzione del circuito murario a cura dell’arch. M. Marconcini, pubblicata sul sito Montelupowalking

Poi c’era porta S. Piero, che si apriva in direzione di San Miniatello e si trovava sull’attuale via Garibaldi fra la Caserma attuale dei carabinieri e la via Giro delle mura. Da fonti consultate, la porta risulta ancora esistente fino al 1831 quando fu demolita per rifare il lastricato della Regia Pisana che attraversava il borgo. Poco oltre la porta, si trovava un luogo di accoglienza per viandanti nominato ospedale di San Piero, che nel ‘500 risulta di proprietà dei Capitani di Orsammichele in Firenze. Ancora oggi nei pressi in cui sorgeva la porta San Piero è rimasta l’indicazione toponomastica di Largo San Piero.

madonna

E infine, troviamo Porta alla Pesa o porta pisana che si trovava proprio sul ponte del torrente. Questa porta costituiva l’accesso principale perché si apriva in direzione della strada Regia. Nei pressi della porta doveva trovarsi il più antico tabernacolo di strada del paese, dedicato alla Madonna della neve (vedi immagine), spostato in seguito all’ampliamento del ponte e dedicato anche a San Filippo Neri.

Un ultimo accesso al borgo incastellato avveniva anche attraverso la postierla del Pelacane, collocato nel tratto di mura che correva di fronte al luogo dove oggi si trova la stazione ferroviaria. Per questa strada di aveva accesso al porticciolo di Montelupo sulla riva dell’Arno e all’imbarco per l’attraversamento con il navicello.

Sul lato orientale del castello di Montelupo, poco lontano dall’attuale piazza Matteotti, ancora nel ‘600 scorreva il rio Schifanoia, oggi interrato sotto l’asfalto; il corso d’acqua era attraversato da un ponticello, detto del Porro, e posto probabilmente nei pressi della porta San Piero. Dopo l’attraversamento, il rio si gettava nell’Arno.

Dentro le mura del borgo gli edifici pubblici erano rappresentati dal Palazzo della Podesteria (in via Sinibaldi), dove riedeva il Podestà e si trovavano il Tribunale della giustizia e le celle del carcere.

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Accanto al Palazzo nel ‘600 si trovava il convento domenicano di San Niccolò che occupava lo spazio della Chiesa parrocchiale attuale. Questo luogo è descritto dalle visite pastorali del 1618 come “luogo indecentissimo”, ma nel suo passato quattrocentesco doveva essere più importante. Fu poi demolito nel 1785 per far posto alla attuale chiesa.

La chiesa del borgo nel ‘600 si trovava sulla cima del colle, dove oggi è la cosiddetta Prioria di San Lorenzo. In realtà la prima dedicazione della chiesa era a San Giovanni evangelista e ad essa era accorpata una cappella della Compagnia religiosa di San Lorenzo, da cui poi ha preso il nome, quando fu costruita la chiesa parrocchiale settecentesca.

Vita sociale ed economica a Montelupo nel Seicento

L’economia della ceramica, che aveva avuto dal 200 al 500 un periodo di intensa crescita, stava ormai esaurendo a Montelupo la sua spinta espansiva, a causa di contingenze politiche e della forte conflittualità del territorio. A questo si aggiunse anche il fatto che la lavorazione ceramica ebbe un cambiamento tipologico e tecnologico nel corso del XVII secolo. Dopo il 1630, l’anno in cui ci fu la peste, il numero dei ceramisti si ridusse grandemente e la povertà del borgo era vistosa. Nella metà del seicento spariscono i forni per fabbricare la maiolica, ma in compenso le terrecotte e il pentolame da cucina iniziarono a dare una maggior resa economica. Un’economia favorevole e la ripresa della produzione della maiolica pregiata ci sarà verso la fine dell’800. 

A Montelupo c’era un forte legame all’interno delle famiglie anche perché l’unità solidale era indispensabile in un’epoca piena di carestie ed epidemie come quella della peste.

Come in ogni altro posto il padre lasciava i suoi beni principali al primogenito, e ciò era spesso causa di litigi fra i fratelli maschi.

Molto spesso i giovani (soprattutto i ceramisti) lasciavano Montelupo per andare in un altro posto della Toscana o fuori di essa a lavorare.

Già dal secolo sedicesimo, i vecchi schemi sociali erano cambiati: fu più frequente l’abbandono degli anziani, delle vedove, che erano costrette talvolta a chiedere al podestà l’aiuto che i figli negavano loro. Per prevenire questi casi venne fatta una legge ducale che consentiva alle vedove di accedere ai bene famigliari.

Infatti le condizioni femminili erano assai dure e forti erano le differenze di trattamento fra figlie femmine e figli maschi. La condizione della donna era fortemente condizionata dalle gravidanze frequenti e precoci e dai rischi che esse comportavano. Frequenti infatti erano le morti per parto delle partorienti.

Soprattutto la carenza di igiene e le pseudoconoscenze mediche provocavano morti o malattie croniche.

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Desco da parto Metropolitan Museum New York

Giochi e passatempi

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A Montelupo come in ogni altro paese toscano il passatempo più diffuso era il gioco per strada, nei campi e nelle piazze.

Si giocava anche nelle osterie e talvolta si scommettevano soldi e si arriva anche alla violenza.

Alcuni giochi erano proibiti dato che potevano diventare molto pericolosi, per esempio la Zara che consisteva nel lanciare dei dischi di terracotta vicino ad un muro o ad un oggetto distante dal lanciatore.

Un altro gioco, legato sempre alle scommesse di soldi è la Rulla (più comunemente nota come Ruzzola) nel quale bisognava lanciare un cacio stagionato, facendolo roteare attraverso una corda legata al braccio; questo gioco era proibito nelle strade del paese perché poteva ferire qualche passante.

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Uno dei giochi più praticati era la palla a maglio che si svolgeva all’aperto soprattutto nelle piazze; consisteva nel lanciarsi la palla e colpirla con un bracciale di cuoio. Era un’attività molto rumorosa dato che ben due squadre partecipavano, quindi le forze dell’ordine vietarono che venisse fatta in luoghi pubblici, come piazze o vicino alle chiese.

A Montelupo la popolarità di questo gioco è evidente dati i numerosi piatti che raffigurano dei giocatori di palla a maglio con il bracciale e la palla di cuoio. Nelle raffigurazione ceramiche del seicento veniva anche raffigurata, come si può notare nel piatto dell’immagine, conservato nel Museo del Bargello di Firenze e datato prima metà del 600.

Ancora oggi nei pressi dell’Ambrogiana c’è un campo chiamato “della pallacorda”, che indica un luogo dove si praticava un altro gioco molto popolare a Montelupo.

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Antico campo della pallacorda a Pari

Il mercato ed il commercio a Montelupo

Il mercato a Montelupo intorno al 1600 si svolgeva sotto i portici dell’attuale via Garibaldi, nei pressi del ponte sulla Pesa, entro la cerchia di mura castellane.

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Il mercato in passato era importantissimo per gli abitanti che si rifornivano di generi alimentari dai vari contadini locali.

Tutto questo accadeva il sabato mattina, quando macellai, “Biadaioli” (venditori di cereali) e “Trecconi” (ortolani) organizzavano i propri banchi per l’intensa mattinata di lavoro.

Oltre a questi tipi di mercanti non mancavano sulla piazza i venditori ambulanti di vari manufatti.

Tutto questo mercato era tutelato da una organizzazione forte e sicura con varie pene per chi rubava e sanzioni che mettevano allo stesso livello persone di ceto sociale molto diverso.

Questo mercato inoltre riuniva il paesino ed ancora oggi questo avviene. Certo, gli anni, la posizione ed il tipo di merci sono cambiati, ma l’usanza di vedere il mercato del sabato come un ritrovo è rimasta nella vita di Montelupo.

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FONTI

Carte dei capitani di parte Guelfa 1580 (fotocopie depositate presso biblioteca comunale Montelupo)

Carte catastali (Archivio Montelupo in fotocopia)

Montelupo 800 anni di storia a cura di Fausto Berti e Mario Mantovani (2003)

Le vie della ceramica. Stradario del Comune a cura di Paola Caramelli (1998)

Storia della Ceramica di Montelupo di Fausto Berti volume quinto,

Sito

https://montelupowalk.wordpress.com/

http://www.upmontelupo.it/parrocchie/montelupo.htm

http://mapio.net/o/3140196/

LA MADONNA DEL LATTE

La cappellina dell’Erta non è sempre stata così: nella prima metà del 400, era un tabernacolo di strada aperto, con una “posta” per il cambio cavalli. Sull’altare si trovava un affresco dedicato alla Madonna del latte con alcuni angeli e santi. I restauri recenti hanno individuato il possibile autore in Paolo Schiavo, vissuto fra il 1397 ed il 1478 e operante fra Valdarno e Valdelsa.
La tecnica utilizzata per fare il dipinto è quella dell’affresco “a giornate” e abbiamo visto nella pittura i vari stadi di avanzamento illuminandola con la luce a raso. Sulla parete sono rappresentati quattro santi, due dei quali sono stati tagliati e la loro sagoma completa non sarà mai più visibile. Nell’immagine sono rimasti visibili però due attributi, un piede con le stigmate e delle fiamme che emergono dal lato sinistro, e inoltre la veste chiara e lunga probabilmente di un vescovo sul lato destro. Forse il primo santo doveva essere San Francesco.
Le due restauratrici, Nicoletta Marcolongo e Benedetta Cappello, ci hanno mostrato le sinopie che appaiono sotto il dipinto e l’aureola a rilievo con incisioni; inoltre ci hanno illustrato i colori in polvere e i pigmenti utilizzati per il restauro al modo degli antichi affrescatori.
Il tabernacolo divenne cappellina nell’epoca rinascimentale con il Granduca che mise mano alle trasformazioni della Villa Medicea. Sua moglie Maria Luigia volle infatti realizzare la cappella dipingendone le pareti con disegni sulle beatitudini.
L’ultimo intervento sulla cappella è stato fatto nell’800 dal pittore Cavani che ha restaurato le beatitudini trasformandone la cornice e realizzando colonne e stuccature in gesso con disegni in sanguigna al livello più basso. Sull’altare della madonna è stato disposto un tabernacolo in legno che incorniciava solo il busto della Vergine con il Bambino al seno.
Il restauro realizzato a spese del Parroco dell’Ambrogiana, metterà in chiaro le attribuzioni e la datazione delle opere, ma già da ora dimostra l’interessante scoperta che i lavori hanno messo in luce.

Oratorio della MADONNA DELLA NEVE

madonna
A Montelupo, il più antico oratorio è quello dedicato alla Madonna della Neve, costruito in seguito alla peste del 1348.
Le vicende relative a questo tabernacolo sono piuttosto complesse. Dalle fonti che abbiamo consultato risulta che un tabernacolo con questo nome sarebbe stato sul ponte del torrente Pesa proprio nei pressi della porta Pisana sulla via Regia. L’ampliamento del ponte ne comportò la demolizione e la dedicazione fu unita all’ oratorio di San Carlo e di San Filippo Neri, posto nell’antica via di San Carlo Borromeo (poi dal 1895, via XX settembre). L’immagine della Madonna che si venerava nell’antico tabernacolo sul ponte, è un’interessante pittura raffigurante la «Madonna in trono col Bambino», riferibile ad un ignoto della produzione fiorentina della metà del Trecento. Così si legge sul sito dell’unione pastorale di Montelupo (www. upmontelupo.it).
Dopo essere stata collocata nella prioria di San Lorenzo, la pittura si trova adesso nella chiesa plebana di San Giovanni Evangelista, nella cappella di testata della navata di sinistra. (Fonti: Ottocento anni di storia a cura di Fausto Berti e Mario Mantovani, Comune di Montelupo Fiorentino, 2003; Le vie della ceramica, Stradario del comune, a cura di P. Caramellli, Comune di Montelupo fiorentino).
In una visita pastorale del luglio del 1796, in cui il vescovo descrive le varie chiese del paese, l’oratorio suddetto posto nella piazza di Montelupo vicino al ponte, risulta ancora in discrete condizioni. (Ottocento anni, cit p. 65)

LA TRADIZIONE STORICA
La festa della Madonna della Neve si celebra il 5 Agosto. Secondo la tradizione storica il culto risale al IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio.
Un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni insieme alla moglie, non avendo figli, decise di offrire i propri beni alla Santa Vergine per la costruzione di una chiesa a lei dedicata. La Madonna apprezzò il loro desiderio e apparve in sogno ai coniugi la notte fra il 4 e il 5 agosto, indicando con un miracolo il luogo dove sarebbe sorta la chiesa. La mattina seguente i coniugi si recarono dal papa per raccontare il sogno fatto da entrambi. Anche il papa aveva fatto lo stesso sogno e tutti insieme si recarono sul posto indicato, il Colle Esquilino. La tradizione dice che quel luogo fu trovato coperto di neve in piena estate. Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa seguendo la superficie del terreno innevato e fece costruire l’edificio sacro a spese dei nobili coniugi.
Questa tradizione non è confermata da alcun documento. La chiesa fu detta Liberiana, mentre dal popolo fu chiamata anche ad Nives (della Neve).
LA DIFFUSIONE DEL CULTO
Il culto sulla Madonna della Neve andò comunque sempre più confermandosi e tra il XV e il XVIII secolo ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve. A Roma il 5 agosto nella matriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore, il miracolo viene ricordato con una pioggia di petali di rosa bianca, cadenti dall’interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica. Il culto, ebbe grande diffusione, e oggi in Italia si contano 152 edifici sacri fra chiese, santuari, basiliche minori ecc. intitolati alla Madonna della Neve. Ogni regione ne possiede una notevole quantità, concentrate su zone dove la neve non manca; le regioni sono: il Piemonte con 31, la Lombardia con 19, la Campania con 17. Nel Napoletano il culto e celebrazione è molto solenne, coinvolgendo le comunità di fedeli con manifestazioni esterne e folcloristiche.
Anche l’oratorio di Montelupo risale all’epoca della prima diffusione del culto a partire dal XV secolo ed è, come detto, il più antico tabernacolo ricordato nel borgo.

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LA MEDICINA DAL 1600 A OGGI
Nel XVII secolo la medicina era poco sviluppata. Le cure delle malattie si riteneva che fossero scritte nella Bibbia. Con la rivoluzione scientifica del 1600 fu creato il microscopio che aiutò gli scienziati a studiare le cellule e i microbi ed a capire meglio l’origine delle malattie.
Oltre al nuovo strumento di indagine, nel ‘600 si comincia a studiare l’anatomia del corpo umano, il funzionamento dei vasi capillari, dei globuli rossi, del pancreas e degli altri organi vitali. Gli scienziati applicano allo studio anatomico anche altre scienze, come la fisica e la chimica, che in futuro daranno origine alla biofisica e alla biochimica.
In Italia lo scienziato che ha dato il via al metodo scientifico fu Galileo Galilei, che applicò l’osservazione sperimentale all’astronomia e perfezionò anche il telescopio.
Egli nacque a Pisa nel 1564, studiò la matematica anche se il padre avrebbe preferito che studiasse medicina.

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Il 1700

Nel 1700, grazie alle idee dell’illuminismo la medicina si sviluppa maggiormente perché vengono inventati i primi vaccini per combattere le malattie infettive. Un’altra importante innovazione medica fu la fondazione della medicina clinica moderna e della anatomia patologica ad opera di Giovan Battista Morgagni. Nei primi del 1700 le operazioni venivano fatte velocemente perché c’era il rischio di infezione. Grazie a Giovanni Alessandro Brambilla che era il chirurgo di Giuseppe II d’ Austria, i medici studiarono il latino per studiare gli antichi testi scientifici dei romani ed altre civiltà e apprendere il loro modo di fare chirurgia e raggiungere livelli più professionali.

Il 1800

Nel XIX secolo la medicina fa ulteriori passi avanti come scienza: si introduce nella prassi l’asepsi, ovvero la riduzione di infezioni grazie a strumenti sterilizzati; poi ci fu l’invenzione dello stetoscopio di René Laennec, usato per ascoltare il cuore del paziente ed il suo respiro.

Anche nella chirurgia si acquisisce un metodo più scientifico e non influenzato dalle esperienze di chi la pratica. Fino a questa epoca infatti fra medico e chirurgo o cerusico esisteva una profonda differenza e mentre il medico studiava all’università e conosceva il latino ed il greco, il chirurgo aveva abilità manuali di taglio, ma non seguiva un corso di studi specifici ed era considerato alla stregua di un abile artigiano.

Anche il diffondersi della peste nell’Ottocento ebbe una battuta di arresto grazie alle ricerche effettuate sul batterio da alcuni studiosi che brevettarono dei vaccini.

Nel 1897 fu sviluppato il vaccino di Haffkine che copriva il rischio di contrarre la malattia di oltre il 50%, somministrando una piccola dose di Yersinia Pestis viva.

Nel 1904 Kolle ed Otto lo perfezionarono dimostrando che piccole quantità di Y.Pestis vivi attenuati difendevano i roditori dalla peste e poi si dimostrò funzionare anche sugli uomini e venne usato anche usato in Indonesia, Madagascar e Vietnam.

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LA PESTE OGGI

La peste oggi sappiamo che è una malattia portata dalle pulci dei topi. Esiste ancora, ma non in Europa in Africa, Asia e America del sud. Esiste ancora, però per fortuna è curabile e sono stati creati dei vaccini contro la malattia.

UNA PROCESSIONE PER CACCIARE LA PESTE

A Montelupo, durante il periodo della peste del 1631, gli abitanti si trovarono in una epidemia davvero intensa. La malattia prese l’avvio dall’ osteria di fuori, nell’estate del 1631, quando vi morì un giovane soldato forestiero che proveniva dal nord Italia. Dopo il soldato furono colpiti anche alcuni membri della famiglia dell’oste Moscardini.

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Passarono pochi giorni dalle prime morti e l’epidemia dilagò tanto che Montelupo fu messa in quarantena dalla Sanità di Firenze. La quarantena consisteva nell’obbligo dei cittadini di stare rinchiusi in casa per 40 giorni e di non uscire dal perimetro delle mura castellane fino alla revoca dell’editto. A questa misura si aggiunse anche l’obbligo di viaggiare verso Firenze e gli altri comuni limitrofi muniti di una “bulletta di sanità”, un documento che attestava lo stato di salute e la provenienza del viaggiatore.
La prima epidemia era già scoppiata l’anno precedente (luglio e agosto del 1630) e in quell’occasione era stato costruito un lazzeretto a Samminiatello, nella località Casa Alta; qui le persone malate venivano isolate dalle sane e lasciate morire, poiché non si conoscevano cure.

Il parroco di Montelupo, Antonio Bontadi, per dare supporto morale ai cittadini volle organizzare una processione nella domenica del 20 luglio 1631 e la ripeté il lunedì seguente. In questa occasione decise di portare in processione per le vie del borgo il crocifisso miracoloso che era stato realizzato nel 400 per la peste nera. Tale crocifisso, vistosamente piagato dai segni della malattia, si trova ancora oggi nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Evangelista e fa un certo effetto al visitatore pensare che fu proprio quello che vide la nota pestilenza.

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Il commissario della Sanità di Montelupo, il frate Dragoni, abate del convento di San Niccolò, era assolutamente contrario alla processione perché sapeva che la commistione delle persone e gli assembramenti avrebbero diffuso il contagio. Con lui era d’accordo l’Ufficio della Sanità di Firenze che aveva imposto la quarantena.

Purtroppo però il cerusico Michelagnolo Coveri, inviato da Firenze con compito di fermare l’iniziativa religiosa e al tempo stesso di portare cure nel lazzeretto, non riuscì a fermare la processione perché ormai era troppo tardi. Così provò a diminuire l’ afflusso di persone alla processione chiedendo il supporto di tre guardie alla Sanità fiorentina: gli uomini armati dovevano impedire gli ingressi nel paese. In particolare si voleva evitare l’accesso alle donne ed ai fanciulli.

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Ma le persone erano troppe e giungevano anche dalle campagne vicine di Capraia, Pontorme, Samminiatello e Fibbiana.

Dopo la processione ed i gran festeggiamenti svolti, durante la notte, un gruppo di uomini intenzionati a contravvenire agli ordini fiorentini, ruppe i rastelli, ovvero le chiusure delle porte di Montelupo. I giovani volevano scappare dal paese ed andare a fare una serenata ad una giovane di Sanminiatello. La rottura avvenne alla porta di San Piero, in direzione di Firenze, la porta collocata all’incirca dove oggi si trova la caserma dei Carabinieri.

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Pandolfo, figlio di un ceramista faentino, che risiedeva all’interno delle mura vicino alla porta, quella notte vide dalla finestra tre sagome che rompevano la chiusura, ma non riconobbe le persone.  Intanto per la città si spargeva il caos, con accuse contro accuse, senza nessun risultato. Allora il cerusico Coveri e il padre Dragoni, commissario alla sanità, interrogarono Pandolfo che si vantava di aver visto qualcuno compiere il misfatto.

Coveri era convinto che i colpevoli fossero i membri della Compagnia di Santo Spirito che assistevano il parroco  Bontadi; egli aveva organizzato la processione anche  per arricchirsi con le offerte e soprattutto per recuperare credito in paese contro l’autorità del padre domenicano Dragoni.

Pandolfo non aveva riconosciuto le persone e quindi Coveri lo arrestò solo perché pensava che non glielo volesse dire. Padre Dragoni era ovviamente d’ accordo con Coveri, quindi Pandolfo rimase per circa un mese in prigione, nelle galere del palazzo Podestarile. Pandolfo venne liberato, ma dal processo che ne seguì si ebbero pochi e vaghi risultati. Dopo due anni dai fatti, il tribunale di Firenze decise il confino per tre anni ed una multa di 50 soldi per tre tipi sospettati di Montelupo.

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L’unico vero risultato della processione però fu la diffusione in modo massiccio del contagio fra le persone di Montelupo che causò la morte di 12 persone, 5 maschi 7 femmine. Il totale dei morti fra tutti i comuni vicini fu di 50 morti tra il 21 luglio 8 agosto.

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FONTI

C.M. Cipolla, Chi ruppe i rastelli a Monte Lupo?

L.Rossi, La storia di Montelupo a fumetti

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IL CROCIFISSO MIRACOLOSO DELLA PESTE
A Montelupo nella chiesa di San Giovanni Evangelista è conservato un crocifisso che risale alla fine del 1300. Sull’origine ci sono due ipotesi: una è che durante un pellegrinaggio i confratelli di San Lorenzo abbiano acquistato il crocifisso; l’altra ipotesi è quella che un artista tedesco venuto a Montelupo come pellegrino abbia costruito il crocifisso come ringraziamento ai Montelupini e che poi loro successivamente ci abbiano aggiunto pustole e bubboni, nel periodo della peste.
Il crocifisso è ricoperto di piaghe e per renderlo ancora più simile agli uomini sono stati applicati dei capelli e della barba naturale. E’ posto su una croce di albero di fico. Una leggenda locale racconta che in certi periodi barba e capelli crescevano come se fossero quelli di un uomo vivo.
Prima di essere spostato alla chiesa di San Giovanni Evangelista era alla prioria di San Lorenzo, che era la prima chiesa di Montelupo e San Giovanni Evangelista era San Niccolò dei Domenicani.
Si parla di questo crocifisso anche nel libro “Chi ruppe i rastelli a Montelupo” di Carlo Maria Cipolla, da cui Roberto Cavosi e Fabrizio Fioravanti hanno ricavato il testo teatrale “La processione” nel 1999.
La peste decimò la popolazione di Montelupo e tutta quella italiana in generale, con il crocifisso i montelupini organizzavano processioni per allontanare l’epidemia dal paese.
C’erano anche persone che si frustavano e si facevano del male per espiare le colpe e allontanare il male (flagellanti); facevano queste processioni per salvare il popolo pensando che Dio vedendoli così sofferenti avrebbe fatto finire le epidemie.

Fonti:
Montelupo 800 anni di storia
Wikipedia

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Storia di Montelupo a fumetti

Lelio Rossi definisce il fumetto un’arte popolare che riesce a coinvolgere l’attenzione di tutti con profondo sentimento e tanta fantasia. Con questo fumetto vuole raccontare la storia a partire dai nostri antenati preistorici fino agli Etruschi che popolarono tutta la Toscana, per giungere poi ai Romani che si insediarono a Montelupo portando sviluppo, sia nelle campagne e nelle ville rustiche.Poi Montelupo diventa nel 1200-300 una comunità indipendente. Purtroppo si combattevano su questa terra le lotte tra i pistoiesi e i fiorentini. Soprattutto tra i nobili Alberti e i conti Guidi. Agli inizi del XIII sec. Alla fine ebbe la meglio la Repubblica Fiorentina che conquista il castello nel 1203.

Nel 1389 Montelupo attraverso lo Statuto creò i suoi rappresentanti:

4 vicari stavano solo 3 mesi in carica

-4 priori

-Poi c’ erano incarichi inferiori: l’esattore, il tesoriere, il ragioniere, i sindaci revisori, il campanaro.

Montelupo prospera grazie alla produzione della ceramica. Si Iniziò a produrla e decorarla fin dal 1200. Era di ottima qualità e prodotta da ottime mani di artigiani. Purtroppo produzione e vita sociale a Montelupo vanno in declino già nella seconda metà del XVI secolo, e per colpa della peste raggiungono la parabola discendente. Il fumetto racconta in modo giocoso le tristi vicende di quel 1631 in cui scoppiò la peste nel paese.

Recensione Fumetto

Questo fumetto è un vero capolavoro nel fatto che raccoglie la storia di Montelupo in un modo semplice e veloce da leggere, perché le immagini aiutano anche chi ha più difficoltà a capire.

Il libro illustra i fatti più importanti della storia di Montelupo attingendo alle fonti scritte e alla storiografia e aiuta noi studenti a comprendere i tempi lontani che hanno dato forma all’oggi. E’ un ottimo strumento didattico e un vero godimento estetico.

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Biografia di Lelio Rossi

Lelio Rossi nasce a Pola (Jugoslavia) il 10 febbraio 1934. Attualmente abita a Montelupo. Iniziò la sua attività da ceramista decoratore nel 1947e divenne capofabbrica di un’azienda di ceramica nel 1962. Nel 1968 alla direzione della Ceramica Flavia di Montelupo Fiorentino e nel 1972 fonda la società Studio Quattro. Svolge numerose attività legate alla produzione della ceramica del territorio montelupino, in diversi settori di attività.

Scenografo teatrale in gruppi filodrammatici, è anche tra i fondatori del

Consorzio Ceramica di Montelupo, oltre che il consigliere dell’

Associazione Amici del Museo. Presidente della Commissione Cultura del Comune di Montelupo Fiorentino dal 1994 al 2004, riveste anche il ruolo di Membro del Comitato organizzatore della Festa Internazionale della Ceramica e di Coordinatore della Scuola Professionale per la Ceramica di Montelupo Fiorentino.

Come artista ceramista partecipa a mostrare nazionali ed internazionali di ceramica e di modellismo navale e svolge anche attività di consulenza per le aziende ceramiche. Il suo ultimo lavoro è il fumetto Storia Illustrata di Montelupo, sul quale l’artista sta elaborando una mostra di ceramica. Per volontà dell’autore, parte del ricavato della vendita di questo libro andrà a sostenere i progetti della Fondazione dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.

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