Nino Buonincontri (ceramista)

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Nino Buonincontri
La nostra storia comincia nell’Ottobre 1931 alla fredda stazione di Bolzano. Una donna, evidentemente incinta, sta attendendo un treno che la riporterà nelle sue terre natìe, in Campania, a Pozzuoli. La donna non ha detto niente a suo marito e a suo figlio di quasi cinque anni, perché in realtà è molto superstiziosa, e dato che la figlia che aveva partorito pochi anni prima a Bolzano si è ammalata gravemente e non è riuscita a sopravvivere, ha deciso che vuol tornare a partorire a Pozzuoli, cosicchè il figlio che nascerà possa avere maggior fortuna.
E così avviene. Dopo un travagliato viaggio in treno a causa del parto imminente, a Pozzuoli nasce Angelo Buonincontri. Il nome Angelo, in realtà, non è stato scelto dalla madre, Maria, ma dalla nonna, in onore dello zio del nascituro ( e dunque fratello della madre), trasferitosi a Marsiglia per lavorare. Maria avrebbe preferito chiamarlo Nino. Di fatto, sarà così che verrà chiamato il bambino appena nato da tutti quanti.
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Tornata a Bolzano, Maria riprenderà la vita di tutti i giorni. Un figlio di quasi cinque anni, Emilio, nato prematuro e dunque con molti problemi di salute, e un marito, Giovanni, ex-tornitore meccanico in una ditta inglese a Pozzuoli, costretto a trasferirsi a Bolzano per lavorare come guardia carceraria, in quanto, con l’avvento del fascismo, molte ditte straniere, tra cui anche la sua, fuggirono dall’Italia, lasciando dietro di sé un’ondata di disoccupazione.
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Dopo la nascita di Nino, nel 1931, la famiglia Buonincontri resterà a Bolzano altri sei anni, fino al 1937. Poi, Giovanni verrà trasferito come guardia carceraria al Manicomio di Montelupo. Così, tutta la famiglia è costretta a trasferirsi nuovamente, stavolta in Toscana. Nel frattempo, a Emilio e Nino si è aggiunto anche Elio, nato pochi giorni prima della partenza da Bolzano. Qualche tempo dopo nascerà anche Anna, destinata purtroppo a vivere soltanto tre anni perché colpita anche lei da una grave malattia.

La vita, in quegli anni, è molto dura, specialmente dopo l’inizio della guerra. Il cibo scarseggia, e le famiglie hanno grande difficoltà ad espletare anche i bisogni di prima necessità. Giovanni si fa in quattro per portare soldi e cibo a casa. Accetta anche di svolgere alcune mansioni a Pianosa, in barca rischiando la vita, con Maria a casa che, da donna energica qual è, educa i propri figli ad essere diligenti e rispettosi.
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Giovanni, addirittura, porta la propria razione di cibo dal manicomio a casa, per dare da mangiare ai propri figli, rimanendo anche per giorni senza mangiare.

Emilio, intanto, è entrato in seminario. Vuole diventare sacerdote. Nino, ancora studente delle medie, di giorno va a scuola e la notte va ad aiutare un panettiere a fare il pane, in modo da poterne portare un po’ a casa. Una volta a settimana, insieme alla madre, va a Lecceto a portare un tozzo di pane al fratello in seminario.
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La famiglia riesce comunque a rimanere unita. Finita la guerra, Nino, appena uscito dalle medie, nonostante il buon rendimento scolastico, decide di iniziare a lavorare per aiutare la famiglia e va a fare il pittore ceramista alla Manifattura Mancioli di Montelupo a soli 14 anni, continuando di notte a fare il pane.
Ben presto, Nino scopre la sua vocazione e la sua passione per la pittura. Inizialmente, l’apprendistato consisteva nella riempitura di graffiti, per sciogliere la mano, poi nello spolvero, infine nel disegno a mano libera. Alla Mancioli, Nino apprende le tecniche di pittura di ceramica di Montelupo, come la raffaellesca, e si specializza nella pittura della maiolica.

Il lavoro tuttavia è sfiancante e il guadagno è poco. Spesso, Nino è costretto a lavorare anche il Sabato e la Domenica. Oltretutto, nel 1959 Nino si è sposato con Amneris Serafini e l’anno successivo è diventato padre di Silvia. I soldi non bastano più, e nei primi anni ’60, Nino decide di lasciare il lavoro alla Mancioli, per trasferirsi in una manifattura di Signa. Nel frattempo si trasferisce con la moglie e la figlia a Firenze, lasciando Montelupo, che rimarrà comunque idealmente, sempre la sua casa. La sua tecnica di pittura si affina ancora, ma il lavoro a cottimo offerto dalla manifattura, non permette un guadagno sufficiente a soddisfare i bisogni della famiglia, così Nino decide di trasferirsi alla Cantagalli di Sesto Fiorentino.
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La Cantagalli era una ditta di origini antichissime, nata addirittura nel 1492. Faceva soltanto riproduzioni. E’ proprio qui che Nino mostra tutto il suo talento. Inventa uno smalto di colore celestino preparando la formula a occhio e senza misuratori, tanto che nessuno è ancora riuscito ad intuirne la composizione.
E’ capace di dipingere con qualsiasi cosa, con i pennelli ormai usurati, perfino con uno spazzolino da denti. Non si limita soltanto a delle riproduzioni, ma disegna anche delle decorazioni molto belle, sfruttando la sua esperienza pregressa nel settore.
Nei primi anni ’80, anche alla Cantagalli, le cose non vanno molto bene a causa della cattiva gestione dei nuovi capi. Una delle segretarie rileva una nuova azienda, il Bargello, e chiama Nino a rifare tutta la collezione della Cantagalli per questa nuova ditta. In questo suo nuovo lavoro, Nino, ormai con tanti anni di esperienza sulle spalle, avrà anche la possibilità di insegnare a pitturare la ceramica in vari modi: con l’ingresso di nuovi soci nella ditta, infatti, il Cda del Bargello manifesta l’intenzione di trasferire una parte della produzione in Marocco. Ed ecco che tocca a Nino trasferirsi in Africa per insegnare la nuove tecniche di pittura ai nuovi dipendenti del Bargello. Si tratterà di una breve, ma bellissima esperienza della durata di un paio di settimane, nelle quali Nino, come sempre faceva, riuscì a stringere rapporti di grande fratellanza e amicizia con tutti.
Un’altra esperienza di insegnamento assai significativa è quella che lo vede protagonista nella Scuola Media Guicciardini a Firenze, durante un laboratorio di Educazione Artistica. Il suo insegnamento ai bambini fu talmente efficace e interessante, che gli venne offerto il ruolo di insegnante in maniera ufficiale.
Ruolo che però Nino rifiuta in quanto era stato operaio per tutta la vita e tale voleva rimanere. Nino infatti, nonostante il suo carattere esuberante e chiacchierone e la sua capacità di stringere amicizia con chiunque, era un uomo molto umile che non amava pavoneggiarsi per le sue grandi doti di pittore. La sua attività di pittore proseguì anche dopo la pensione, a dimostrazione del fatto che il suo lavoro era anche la sua passione e la sua vocazione. E’ assai difficile anche individuare una vera e propria logica nei suoi lavori, in quanto, come molti artisti, dipingeva tutto quello che gli veniva in mente, e lo faceva con una tale maestria e abilità da incantare chiunque lo guardasse lavorare e chiunque potesse ammirare le sue pitture una volta concluse.
Il 2003 fu per lui uno degli anni più brutti. Suo fratello Emilio, con il quale ebbe sempre un rapporto forse ancor più che fraterno, in quanto oltretutto avevano anche sposato due cugine e avevano condiviso moltissime cose, spirò a causa di una serie di complicazioni dovute a diverse malattie. Nino, che aveva da poco avuto un infarto, non riuscì a recarsi al funerale del fratello. I due, seppur malati e pieni di problemi, continuarono a sentirsi e a preoccuparsi l’uno per l’altro fino all’ultimo giorno. Nino, tuttavia, riuscì in qualche modo a riprendersi, e a oltre settanta anni con un infarto sulle spalle, accettò di partecipare ad un progetto del comune di Firenze, insegnando a pitturare la ceramica ai pensionati. Tutti coloro ai quali ha insegnato lo ricordano come un insegnante eccezionale e insieme a questi pittori occasionali riuscì anche ad allestire alcune mostre.
Morì nel 2010 a causa di una serie di complicazioni dovute a problemi cardiocircolatori. Uno dei suoi ultimi desideri fu quello di essere sepolto nel paese al quale era tanto affezionato, poiché lì accaddero molti eventi importanti della sua vita, e cioè Montelupo. I suoi familiari, la figlia, la moglie e il fratello, vogliono che di lui si ricordi il fatto che quando pitturava, lo faceva con il cuore. E, del resto, guardando i suoi lavori, non si può fare a meno di dare loro ragione.
(Testo iniziale a cura di Giovanni Scarselli nell'ambito del progetto "Ceramisti anonimi, per una anagrafe dei ceramisti" dell'Associazione Emilio Sereni